Il lavoro di aggiornamento del museo ha previsto circa trenta interviste alla popolazione locale che avesse vissuto gli anni della guerra. Si è invitato i genonesi a partecipare e la risposta è stata importante e attiva, come sempre.
Nelle interviste si è cercato di raccogliere un immagine obiettiva, evitando di influenzare l’interlocutore con domande troppo specifiche, si è cercato di documentare i ricordi più nitidi. Questo metodo ha dei limiti, poiché spesso non si può entrare nel dettaglio degli argomenti se non è l’intervistato a farlo autonomamente. Il risultato è, però, assolutamente sincero. Alla base del metodo di lavoro è il sistema delle microstorie, abbiamo appreso da Grendi come: “La microanalisi sociale si lega più al carattere di base dei dati presi in considerazione che non alla dimensione dell’area sociale in quanto tale”. Ma
quello che ha rafforzato l’idea è il carattere sperimentale, come sottolineato da Levi: “Il vero problema è la scelta sperimentale della dimensione della scala nell’osservazione. La possibilità che un’osservazione microscopica ci mostri cose che prima non erano state osservate è il carattere unificante della ricerca microscopica”.
Tale premessa da forza al progetto. Le microstorie raccontante si legano al territorio senza mai scindersi dal contesto ma dando un ulteriore spaccato documentario che ci impone, per dovere documentario, un sistema museografico espositivo alternativo.
Le interviste suddivise in minivideo, tanto sintetici quanto rappresentativi, sono collegati alla visita museale attraverso i Qr-code che rimandano ai video dove è la popolazione locale a raccontare situazioni, aneddoti, oggetti e storie.
La vendita dei cavallini della Giara
Antonio Secci racconta di quando i cavalli della Giara erano privati e si vendevano nel resto d’Italia.
Tutte le video interviste.
Sono visibili al Museo